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storia del prosciutto. NOTE STORICHE Il prosciutto di San Daniele vanta una tradizione illustre ed antica. Furono i Celti, antichissimi abitatori del Friuli Si arriva così ad un altro tragico momento nella storia di San Daniele e di tutto il Friuli: il 6 maggio 1976 il terremoto parve annientarla; ...Prosciutto di San Daniele. Storia e Notizie: Origini lontane quelle del prosciutto di San Daniele, la cui esistenza è stata documentata nell'alto Medioevo, Prosciutto di San Daniele - Homepage. Prosciutto di San Daniele. Il Consorzio · Il Prosciutto · Ricette & istruzioni per l'uso · Storia e cultura ...Prosciutto di San Daniele - Homepage. Prosciutto di San Daniele. Il Consorzio · Il Prosciutto · Ricette & istruzioni per l'uso · Storia e cultura ...San Daniele del Friuli (San Denêl in friulano) è un comune italiano di 8.227 abitanti della ... 1 Geografia fisica; 2 Storia. 2.1 Onorificenze .... il mondo soprattutto per il prosciutto crudo "San Daniele", che da esso prende il nome. ...Il prosciutto di San Daniele vanta una tradizione illustre ed antica.




Furono i Celti, antichissimi abitatori del Friuli, e quindi anche di San Daniele (vi arrivarono intorno al 400 a.C.), i primi nella storia a conservare le cosce di suino, utilizzando erbe particolari, aceto e fumo.

Le cronache dell’epoca narrano che il Patriarca di Aquileia, di cui San Daniele era feudo, si preoccupò di rendere meno triste la permanenza dei prelati riuniti per il Concilio di Trento inviando loro dodici prosciutti di San Daniele. Esistono, poi, numerose citazioni in cui si descrive in modo particolareggiato la presenza di questa specialità friulana sulle mense dei Dogi e delle corti d’Austria e di Francia.

“Nel 1797 il generale Massena fece requisire una quantità imprecisata di prosciutti perché «allietasse» la mensa di Napoleone Bonaparte.



Nei primi giorni di giugno del 1880 Giosuè Carducci, che soggiornava per le cure termali ad Arta Terme, fu ospite di alcuni maggiorenti della città ed ebbe modo di assaggiare con grande soddisfazione il gustoso piatto.



Verso la fine dell’Ottocento a San Daniele c’erano già alcune ditte produttrici del prelibato prodotto che potevano fregiarsi delle credenziali quali «fornitore della Real Casa» e dei «Sacri Palazzi Apostolici»” (da “Il Friuli Venezia Giulia paese per paese”, 1985).



I primi prosciuttifici, intesi nel senso di ambienti specificamente destinati ad un’attività di produzione autonoma, risalgono al 1920. In quel periodo, infatti, si iniziò a confezionare il prosciutto, avvolgendolo in carta oleata e stagnola e ponendolo in scatolette di legno leggero. Intorno al 1930 questo sistema fu sostituito da un altro: il prosciutto affettato veniva compresso “sotto vuoto” in scatole di latta.



Negli anni successivi i prosciuttifici si trasformarono da produzioni artigianali a vere e proprie industrie; i primi a “scoprire” San Daniele furono alcuni operatori veneti, già presenti nel settore delle carni, che all’inizio degli anni ’60 diedero vita alle grandi fabbriche di prosciutti.



Nel corso degli anni ’80, infine, vi è stata una consistente entrata di imprese di maggiori dimensioni, originarie del mondo dei salumifici o multinazionali.



I prosciuttifici sono attualmente 26, di cui 19 industriali e 7 artigianali; la capacità produttiva è di circa 3.000.000 di prosciutti l’anno, ma la produzione DOT (Denominazione di Origine Tutelata) non supera le 1.800.000 unità.



“Le dimensioni delle unità produttive sono diverse: si va dai 3000 prosciutti prodotti in un anno ai 170.000. Complessivamente sono impiegati circa 500 addetti” (A. Gruppi, 1995).



Il prosciutto di San Daniele soddisfa il 14% dei consumi nazionali ed è esportato per il 18,5% della produzione (dati del 1997). (Fonte: Gianni D’Affara (1999), “Guida di San Daniele”.) 1. PERIODO PRE-ROMANO




L'origine della località di San Daniele è probabilmente pre-romana. In epoche remote, essa costituì un vero e proprio punto di convergenza di popoli liguri, etruschi, umbri, celti e, successivamente, latini.



Pur esistendo poche testimonianze relative al loro insediamento, pare siano stati proprio gli Etruschi a scoprire il Passo di Monte Croce Carnico e a tracciare per primi la strada che, passando per San Daniele, consente di raggiungere l'attuale Austria, in particolare la Stiria. Essi vi si recavano per acquistare metalli e vendere oggetti finiti.



Intorno al 400 a.C. arrivarono a San Daniele i Celti (o Gallo-Carni) provenienti dal Nord, passando presumibilmente proprio attraverso il Passo di Monte Croce Carnico. Non si trattava di barbari, ma di un popolo organizzato e progredito, dedito all'allevamento ed al commercio di bestiame. Furono proprio i Celti i primi a conservare la carne sotto sale (prima si affumicava), sale che veniva importato dalle miniere d'oltralpe. Si può, quindi, dire che furono loro gli inventori del prosciutto di San Daniele!

2. PERIODO ROMANO



La zona di San Daniele presenta numerosi elementi che fanno pensare a notevoli stanziamenti in epoca romana. Il primo insediamento romano fu la "Mansio Valeriana", ossia una stazione di posta e pernottamento lungo la "Via Concordiese" (detta anche "via dei metalli"), situata esattamente a metà strada tra Concordia Sagittaria a Sud e Zuglio (Julium Carnicum) a Nord. Ma accanto all'esistenza della "Valeriana", ci sono altri elementi che testimoniano la presenza romana: la toponomastica (colle Germano, da "Germanicus"; colle Ruta, da "Rutilius"…), i rinvenimenti di sculture, monete, ceramiche ed oggetti vari, i resti di lastricato stradale, di "ville rustiche" e di necropoli; senza dimenticare il castello, costruito sul colle Massimo, la cui presenza è giustificata dalla posizione strategico-militare di San Daniele, vicino ad un guado sul Tagliamento, vicino al porto fluviale di San Giacomo a Villanova e a difesa della Via Concordiese.

3. IL MEDIOEVO E IL RINASCIMENTO



PERIODO LONGOBARDO



La convivenza tra i romani e i popoli che li avevano preceduti fu turbata dall'inizio delle invasioni barbariche. Le sempre più frequenti incursioni dei popoli germanici, che si infiltravano dal Nord, indussero i coloni romani ad abbandonare le campagne, mentre l'insicurezza delle strade impediva il commercio.

L'arrivo dei Longobardi, nella seconda metà del VI secolo, riportò prosperità e benessere. "L'insediamento di San Daniele si inserisce nella più vasta distribuzione dei centri longobardi in tutta la zona circostante (Maiano, Farla, Ragogna), secondo una perfetta strategia militare, in difesa dell'economia agricola" (da "Il Friuli Venezia Giulia paese per paese", 1985). Era molto diffuso l'allevamento dei maiali, che costituivano il principale alimento per i Longobardi; essi furono molto abili nella conservazione dei prosciutti. Anche alla terra di San Daniele, tuttavia, toccò la triste sorte di Cividale, Gemona, Artegna, Ragogna, assediate per lungo tempo dagli Avari, che uccisero il duca longobardo del Friuli, Gisulfo.



TRA REALTA' E LEGGENDA: L'ORIGINE DEL NOME DI SAN DANIELE



Per rintracciare il significato e l'origine del nome di San Daniele, è necessario risalire sino al 929 d.C., anno in cui fu eretta la chiesetta di San Daniele, che diede il nome all'intero abitato sviluppatosi intorno ad essa. Secondo la tradizione, il principe longobardo Rodoaldo, grosso proprietario terriero, uccise il Patriarca di Aquileia Leone e poi, pentito, per espiare fece erigere la chiesetta dedicata a San Daniele. Una verità storica documentata è, invece, rappresentata da un atto del 1015 che menziona "quatuor campos in Sancto Daniele", e dalla deliberazione del Patriarca Popone che aggregò il centro collinare al Parlamento friulano (1036). Un documento del 1203, poi, descrive l'abitato di San Daniele e cita i nomi di due "habitatores" del castello: Mattiusso e Luvisino, entrambi appartenenti alla famiglia di feudatari detta di Varmo.



IL FEUDALESIMO



Ma ritorniamo alla fine dell'VIII secolo d.C., quando sopraggiunsero in Friuli i Franchi. Essi continuarono l'opera di sviluppo agricolo iniziata dai Longobardi, ma instaurarono un rapporto di tipo feudale con i contadini. L'ordinamento feudale, sinonimo di oscurantismo, di oppressione e di sfruttamento dei contadini, continuò per tutto il Medioevo, nonostante ripetute rivolte del popolo sandanielese contro i feudatari. In questo periodo di lotte per la supremazia fra i feudatari e di invasioni e scorribande da parte degli Ungari, cominciò ad acquisire importanza il Patriarcato di Aquileia. Esso, in realtà, avrebbe dovuto essere feudo degli imperatori tedeschi, ma godeva di molte immunità, che lo rendevano una grande potenza temporale e politica. San Daniele diventò un "feudo di abitanza" del Patriarcato di Aquileia. Queste e le successive, complesse, vicende storiche non impedirono a San Daniele di acquisire sempre maggiore importanza, come centro sia commerciale, sia finanziario. "Agli inizi del Mille sorge il primo borgo medioevale, entro una cinta che verso Est è ancora la primitiva longobarda intorno al castello, mentre verso Ovest arriva fino all'attuale piazza. Nel Duecento si ampliò ancora verso Ovest, con una più larga cinta muraria e si mantenne pressoché inalterato fino al Quattrocento" (da "Il Friuli Venezia Giulia paese per paese", 1985).



L'UMANESIMO E IL RINASCIMENTO



Nella seconda metá del Quattrocento San Daniele si ampliò e si svincolò dalla soggezione ai nobili feudatari. Essa si governava a Comunità, con giurisdizione civile e penale. Del Consiglio della Comunità facevano parte sia gli "habitatores" del castello (che, tuttavia, non usufruivano di alcun diritto di primazia), sia gli abitanti fuori le mura castellane, liberamente eletti.

Nel 1419 fu inaugurata la Loggia Comunale per le riunioni delle assemblee.

Nel 1420 tutto il Friuli passò sotto il dominio della Repubblica Veneta, ma una successiva convenzione, firmata nel 1445 dal Patriarca e da Venezia, riconobbe alla Chiesa di Aquileia piena giurisdizione feudale sul castello e sulla comunità di San Daniele.

Il Quattrocento fu per San Daniele un secolo molto fiorente, soprattutto in campo artistico e letterario. Grazie all'opera di Guarnerio d'Artegna, canonico aquileiese e poi vicario patriarcale e pievano di San Daniele, si diffuse in questo periodo il "vento" dell'Umanesimo. In collaborazione con eccellenti letterati e copisti, egli riuscì a formare una raccolta di libri "degna di un monarca", che porta il suo nome (Biblioteca Guarneriana) e che, alla sua morte, fu lasciata in eredità e a disposizione dell'intera comunità. Nel 1511, nel corso di un'insurrezione popolare contro i Signori di Varmo, il castello fu bruciato e mai più ricostruito.

4. DAL SEICENTO ALL'UNITA' D'ITALIA…



Seguì per San Daniele un periodo abbastanza tranquillo, in cui il borgo si trasformò radicalmente, ampliandosi ed abbellendosi. Si arriva così al 1797, anno in cui i Francesi di Napoleone invasero il Friuli e San Daniele perse, di conseguenza, la libertà di cui aveva goduto sotto la Repubblica Veneta. Con il trattato di Campoformido, sottoscritto il 17 ottobre 1797, il Friuli (e, quindi, anche San Daniele) venne occupato dagli Austriaci, che vi rimasero fino al 1866.

Durante la dominazione austriaca molti volontari sandanielesi parteciparono alle Guerre di Indipendenza, unendosi a quelli provenienti da Osoppo e Venzone. Dopo l'annessione al Regno d'Italia nel 1866, San Daniele riorganizzò la sua economia seguendo il progresso: nel 1889 già funzionava il tram a vapore che la collegava con Udine; nel 1896 fu inaugurato l'acquedotto.

5. … E FINO AI NOSTRI GIORNI



Durante la Prima Guerra Mondiale San Daniele subì gravi danni e perdite umane. Con la rotta di Caporetto nel 1917, fu di nuovo soggetta all'Austria fino al 4 novembre 1918.

Anche la Seconda Guerra Mondiale provocò numerose vittime e comportò l'occupazione tedesca, cui si oppose con forza la resistenza partigiana. Nonostante le distruzioni e le sofferenze subite anche dalla popolazione civile, nel dopoguerra San Daniele si risollevò: furono incentivate le industrie delle pantofole e dei prosciutti, si sviluppò il turismo e la cittadina rifiorì.



Si arriva così ad un altro tragico momento nella storia di San Daniele e di tutto il Friuli: il 6 maggio 1976 il terremoto parve annientarla; il centro storico e le zone più vecchie e caratteristiche dei vari borghi furono abbandonati. Per un periodo sembrò una città morta, di sole macerie e di desolazione. Ma tale periodo non durò a lungo: ben presto i sandanielesi, da bravi friulani, con grande tenacia e voglia di non arrendersi, cominciarono a ricostruire. E fu uno dei primi e più attivi centri della Regione nell'opera di rinascita. Ricostruzione, riconsolidamento, risanamento di vecchie case hanno ridato un magnifico volto a San Daniele.



San Daniele è oggi il centro di numerose iniziative economiche e sociali. Ma, al di là di ogni paragone o statistica, è da tutti considerato anima culturale e cuore pulsante del Friuli.

Il Parmigiano-Reggiano è un noto formaggio italiano a pasta dura tutelato dalla Denominazione d'Origine Protetta. Rientra nella tipologia dei formaggi a pasta dura, di cui è considerato il più rappresentativo
Cenni storici [modifica]


Festival del Parmigiano Reggiano a Modena.



Le origini di questo formaggio risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo; il luogo d'origine sarebbe il paese di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, paese che si definisce oggi "culla del Parmigiano Reggiano", così come testimoniano documenti storici di epoca medievale[senza fonte].



Boccaccio nel Decamerone dimostra che già nel 1200-1300 il parmigiano-reggiano aveva raggiunto la tipizzazione odierna, il che spinge a supporre che le sue origini risalgano a diversi secoli prima. Non è escluso che la ricetta sia analoga a quella di un formaggio lodigiano a pasta dura che talvolta troviamo citato di sfuggita nelle fonti romane.



Storicamente la culla del Parmigiano fu nel XII secolo.[1], accanto ai grandi monasteri e possenti castelli in cui comparvero i primi caselli: piccoli edifici a pianta quadrata o poligonale dove avveniva la lavorazione del latte. I principali monasteri presenti tra Parma e Reggio erano quattro: due benedettini (San Giovanni a Parma e San Prospero a Reggio) e due cistercensi (San Martino di Valserena e Fontevivo, entrambi nel parmense).



Per avere dei prati con buone produzioni da destinare all'allevamento di bestiame di grossa taglia sia quale forza motrice, sia quale fonte di fertilizzante, era necessario avere terreni con abbondanza d’acqua e non è un caso che le maggiori praterie si formassero là dove c’era abbondanza di acqua sorgiva: a Parma nell'area a nord della città ed in quella di Fontanellato-Fontevivo; mentre a Reggio il territorio più ricco d'acqua era tra Montecchio e Campegine (quest'ultima zona era allora soggetta a Parma).



Nel parmense poi, grazie alle saline di Salsomaggiore, era presente, a differenza di altre città, il sale necessario per la trasformazione casearia.



Il Parmigiano-Reggiano si è rapidamente diffuso nell'attuale comprensorio situato a sud del Po, nelle province di Parma, Reggio Emilia e Modena, toccando anche parte delle province di Bologna e Mantova.

Denominazione d'Origine Protetta (DOP) [modifica]

"Punta" di Parmigiano

Fasciatura delle forme: conferisce la forma e il marchio



Si tratta di un prodotto a Denominazione d'Origine Protetta (D.O.P.), secondo la norma europea del Reg. CEE 2081/92 ed il riconoscimento del Reg. (CE) N. 1107/96. Solo il formaggio prodotto secondo le regole raccolte nel Disciplinare di produzione può fregiarsi del marchio Parmigiano-Reggiano.



Il Parmigiano-Reggiano deve riportare sulla parte esterna della forma i contrassegni nella loro integrità atti a identificare e distinguere il prodotto. Connubio necessario alla produzione di questo formaggio sono i prati stabili e l'allevamento bovino.



I marchi d'origine, apposti alla nascita del formaggio, sono:



* i segni impressi con la fascera marchiante lungo tutto lo scalzo della forma, che riportano i puntini con la scritta "PARMIGIANO-REGGIANO", il numero di matricola del caseificio, il mese e l'anno di produzione, la scritta "D.O.P.", la scritta "CONSORZIO TUTELA";

* la placca di caseina, applicata sulla superficie, che riporta l'anno di produzione, la scritta "C.F.P.R.", ed un codice alfanumerico che identifica in modo univoco ogni singola forma.



Produzione [modifica]

Magazzino di stagionatura del parmigiano-reggiano



Attualmente gran parte della produzione del Parmigiano-Reggiano avviene con latte prodotto da vacche Frisone, introdotte nel territorio nel corso del '900, ma la razza tradizionalmente sfruttata per la produzione del formaggio è la Reggiana rossa, a triplice attitudine (latte, lavoro e carne), introdotta probabilmente dai Longobardi.



Purtroppo la sua produzione di latte è poco più della metà di quello della Frisona, sebbene di qualità assai superiore, e questo ne spiega l'abbandono, unito anche al fatto che la sua forza e l'attitudine al lavoro sono divenute inutili con l'avvento dei trattori.



Alcuni piccoli caseifici ne usano ancora il latte per produrre un formaggio di qualità superiore. Per conoscere la storia e la qualità del parmigiano reggiano prodotto con latte di razza rossa reggiana, si può consultare il sito dell'Associazione Nazionale Allevatori Bovine di Razza Reggiana (ANABoRaRe)



Una forma di formaggio Parmigiano-Reggiano deve obbligatoriamente avere un peso variabile compreso tra 24 kg e oltre 40 kg, anche se mediamente s'aggira sui 38,5 kg [2]. Per produrre una forma di Parmigiano Reggiano servono circa 550 litri di latte con una media di oltre 14 litri per ogni chilogrammo di formaggio prodotto.

Cucina [modifica]

Un pezzetto di Parmigiano stagionato

Parmigiano e aceto balsamico



Il formaggio può essere mangiato a scaglie o grattugiato. La stagionatura migliore non deve essere inferiore ai 24 mesi, potendo arrivare anche a 36 e a 40 mesi.

Barilla è un'azienda multinazionale italiana del settore alimentare, leader mondiale nel mercato della pasta, dei sughi pronti in Europa, dei prodotti da forno in Italia e dei pani croccanti nei Paesi scandinavi.

Fu fondata nel 1877 a Parma, in zona via Vittorio Emanuele, come bottega che produceva pane e pasta dal sig. Pietro Barilla, discendente di una famiglia di panettieri.




La ditta si ingrandì nel 1908, e Barilla prese in affitto un nuovo stabile e vi inaugurò nel 1910 il nuovo pastificio, dotato di un forno, in zona Barriera Vittorio Emanuele. Alla sua morte, avvenuta nel 1912 gli succedettero alla guida i figli Gualtiero e Riccardo.



Nel 1919, morì anche Gualtiero, e la direzione della ditta passò interamente nelle mani di Riccardo. Fu a partire da allora che Barilla aumentò la produzione e la distribuzione dei prodotti, grazie ad una innovazione tecnologica, che gli consentì di trasformarsi rapidamente, nel corso degli anni venti e trenta, più importante azienda del settore in Emilia-Romagna.



Nel 1947, Riccardo Barilla morì e la gestione passò ai figli Pietro e Gianni, che erano già entrati nell'azienda di famiglia molti anni prima, rispettivamente come responsabile commerciale e responsabile della produzione.



Fu proprio con l'avvento dei due fratelli Barilla, che l'azienda parmese conobbe una fase di grande sviluppo, e nel 1952, fu sospesa la produzione del pane per concentrarsi unicamente in quello della pasta di semola e all'uovo. In quegli anni Barilla si trasformò rapidamente da azienda di livello regionale ad una di livello nazionale, grazie ai molti investimenti sulla pubblicità, alla qualità dei prodotti venduti a prezzi equilibrati e alla sua capacità innovativa, data soprattutto con l'utilizzo del cellophane per confezionare la pasta.



Nel 1955 venne inaugurato il nuovo stabilimento in viale Vittorio Veneto, e Barilla incrementò la propria produzione arrivando a raggiungere quota di 6.000 quintali al giorno di prodotto. Fu così che negli anni del boom economico, Barilla divenne azienda leader nella produzione e nel mercato nazionale della pasta. Nel 1960 si trasformò in società per azioni, e negli anni successivi aprì nuovi stabilimenti.



Nel 1970 i fratelli Barilla cedettero la loro azienda alla multinazionale statunitense W. R. Grace and Company. Sotto la gestione statunitense Barilla nel 1975 acquisì il controllo della Voiello, e ampliò la propria produzione a quella dei prodotti da forno (biscotti) con il marchio Mulino Bianco.

Logo del Mulino Bianco



Nel 1979 Pietro Barilla riacquisì il pacchetto di maggioranza della sua azienda, che così ritornò italiana.



Nel 1993 morì improvvisamente Pietro Barilla e la gestione della società passò ai figli Guido, Luca e Paolo.



Si giunse così alla quarta generazione Barilla, e negli anni novanta l'azienda emiliana avviò un processo di internazionalizzazione con l'acquisizione di varie società estere dello stesso settore, come la greca Misko (1991), la turca Filiz (1994), la svedese Wasa (1999) , le messicane Yemina e Vesta, e la tedesca Kamps AG (2002). In Italia ha acquisito la Pavesi (1992).

Generalità e dati del Gruppo Barilla [modifica]



Alla guida dell’azienda c’è, da oltre 130 anni, l’esperienza imprenditoriale di una famiglia che oggi, con i fratelli Guido, Luca, Paolo ed Emanuela Barilla, è giunta alla quarta generazione. Tuttavia, nonostante la tradizione familiare della società, siede in consiglio di amministrazione anche Walter Wurth, magnate della produzione di armi.[1], e nel ruolo di amministratore delegato c'è Massimo Potenza.



L'azienda è a tutt'oggi il primo produttore italiano e mondiale di pasta, prodotti da forno (primo produttore italiano e terzo europeo), sughi pronti per pasta (primo produttore italiano). La distribuzione dei prodotti Barilla tocca anche i paesi nordamericani.



L’assetto produttivo di Barilla si basa su 26 poli produttivi, tra pastifici, fornerie e mulini. I mulini di proprietà, controllati direttamente da Barilla, forniscono circa il 70% della materia prima occorrente alla produzione e l’indiscussa leadership nella tecnologia produttiva della pasta è legata alla proprietà e alla diretta gestione di ben 7 pastifici: Pedrignano (PR), Foggia, Caserta, Thiva (Grecia), Bolu (Turchia), Ames (Iowa-USA) e San Luis Potosí (Messico) nei quali si producono circa 900.000 tonnellate di pasta l’anno, differenziate in 150 formati di pasta di semola e oltre 30 di pasta all’uovo secca e ripiena[2].



Nel 2008 Barilla ha ceduto i marchi Tre Marie e Sanson all'azienda produttrice di gelati Sammontana[3].



Lo slogan utilizzato dalla casa produttrice è molto diverso all'estero: negli Stati Uniti la Barilla è conosciuta come "The choice of Italy" (trad. La scelta dell'Italia), mentre in francese ne viene utilizzato uno simile, "Les pâtes préférées des Italiens" (trad. La pasta preferita degli italiani). In russo è semplicemente tradotto dall'italiano: "Там где есть Барилла там дом" cioè "Dove c'è Barilla c'è casa.".

Altre attività [modifica]



La Barilla controlla anche la Number 1 Logistics Group, con sede a Parma, che si occupa di logistica, la First che si occupa dei servizi per la vendita al dettaglio, e l'Academia Barilla, centro internazionale nato nel 2004, dedicato alla diffusione, alla promozione e allo sviluppo della Cultura Gastronomica Italiana nel mondo.



Dal 1987 esiste l'Archivio Storico Barilla, con sede sempre a Parma, per la conservazione delle documentazioni storiche prodotte dall'azienda.

Nutella è il nome commerciale italiano di una crema gianduia; infatti essa è a base di oli vegetali, zucchero, nocciole e cacao. Fu creata nel 1964 dall'industria dolciaria italiana Ferrero, sulla base di una precedente crema denominata Pasta Giandujot e poi SuperCrema. Il nome deriva dal sostantivo nut, che significa "nocciola" in inglese, e il suffisso ella per ottenere un nome orecchiabile.


Indice

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* 1 Storia

* 2 Corrispettivi della Nutella nel mondo

o 2.1 Un fenomeno di costume

o 2.2 I marchi concorrenti

* 3 Ingredienti

* 4 Curiosità

* 5 Note

* 6 Altri progetti

* 7 Bibliografia

* 8 Collegamenti esterni



Storia [modifica]



L'origine della Nutella è legata al cioccolato Gianduia, che contiene pasta di nocciole. Il Gianduia prese piede in Piemonte nel momento in cui le tasse eccessive sull'importazione dei semi di cacao cominciarono a scoraggiare la diffusione del cioccolato convenzionale. Pietro Ferrero possedeva una pasticceria ad Alba, nelle Langhe, area nota per la produzione di nocciole. Nel 1946 vendette il primo lotto costituito da 300 chili di "Pasta Giandujot". Si trattava di una pasta di cioccolato e nocciole, venduta in blocchi da taglio. Nel 1951 nasceva invece la Supercrema, conserva vegetale venduta in grandi barattoli.



Nel 1963, Michele Ferrero, figlio di Pietro, decise di rinnovare la Supercrema, con l'intenzione di commercializzarla in tutta Europa. La composizione venne modificata, così come l'etichetta e il nome: la parola "Nutella" (basata sull'inglese "nut", "nocciola"), e il logo vennero registrati verso la fine dello stesso anno, e restano immutati fino ad oggi.



Il primo vaso di Nutella uscì dalla fabbrica di Alba il 20 aprile del 1964. Il prodotto ebbe successo istantaneo, e rimane oggi estremamente popolare e ricordato con affetto in romanzi, canzoni e opere cinematografiche.

Corrispettivi della Nutella nel mondo [modifica]

« Che mondo sarebbe senza nutella? »



(Tag-line)



Oggi la Nutella è probabilmente la crema spalmabile più diffusa al mondo; questo tipo di creme è utilizzato soprattutto come accompagnamento per pane, biscotti e frutta, anche se negli anni sono state ideate numerose ricette che ne prescrivono l'uso in torte e crêpes.

Un fenomeno di costume [modifica]

Nutella

Nutella



In molte nazioni europee, la crema cioccolato non è solamente un alimento o una golosità, bensì un consolidato fenomeno di costume. Nel corso degli anni e al mutare dei tempi e delle mode, ricetta, confezione e l'apprezzamento del pubblico di nutella sono rimasti invariati.



* La crema è comparsa anche in pellicole cinematografiche, famosa è la scena del film Bianca di Nanni Moretti, in cui il protagonista Michele Apicella, alter ego del regista-attore, affoga l'ansia in un enorme barattolo di Nutella.

* Appartiene al linguaggio quotidiano, è presa quale termine di paragone (es. Gnutella) e ha costituito oggetto di studi sociologici.

* Su di essa sono addirittura stati scritti saggi riferiti al costume italiano (l'ultimo in ordine di tempo è "Nutella un mito italiano" del giornalista Gigi Padovani, edito da Rizzoli nel 2004), libri di ricette e svariate relazioni accademiche che indagano sulle motivazioni dell'apprezzamento di un prodotto trasversale a più generazioni.

* Giorgio Gaber usò il nome della crema nella sua canzone "Destra-Sinistra".



« Io direi che il culatello è di destra, la mortadella è di sinistra. Se la cioccolata svizzera è di destra, la Nutella è ancora di sinistra. »





* Alberto Tomba in un'intervista al periodico Panorama il 20 gennaio 1995



« Quando dovevo dimagrire prendevo il Weetabix, ma di nascosto lo spalmavo di Nutella. »





* Nutella Nutellæ è il titolo di un libro umoristico di Riccardo Cassini del 1995, dove vengono riviste parti di celebri opere in chiave Nutella.



I marchi concorrenti [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Crema cioccolato.



I produttori di crema cioccolato concorrenti sono numerosi, in Italia e all'estero. Sinora nella penisola italiana nessun concorrente è mai riuscito a imporre il proprio marchio come concreta alternativa a Nutella Ferrero, mentre "Nutella" è diventato, per estensione, scorretto sinonimo di crema gianduia [1] nel mondo.



In Italia, nel decennio dal 1975 al 1985 furono molte le creme concorrenti. Tra queste



* "Ergo Spalma" di Plasmon Linea Ragazzi

* "Ciao Crem" di Star, allora la più grande industria alimentare italiana[2]

* "Cremita" di Barzetti, industria dolciaria di Castiglione delle Stiviere

* "Nucrema" di Motta

* "Nutkao" dell'omonima società Nutkao.

* Lindt, vende anche in Italia una crema al cioccolato, decisamente più affine al cioccolato "vero" della Nutella.

* "Crema Novi" della Novi



Numerosi discount propongono ad oggi creme spalmabili in concorrenza alla Nutella, di discreta qualità, diverse delle quali nel formato "bicolore", mai utilizzato per la Nutella. Curioso il caso dell'hard discount Lidl che vende sia la Nutella a marchio Ferrero, sia un "clone" nei formati tradizionale e bicolore.



Nel mondo, prodotti simili con altri marchi godono di largo successo. Tra questi:



* "Merenda" in Grecia: il nome è stato preso proprio dall'originale italiano per indicare appunto uno spuntino della prima colazione.

* "Nocilla" in Spagna. Sino a poco tempo fa è stata l'unica marca sino a quando Nutella non è entrata in tale mercato, nel quale tuttavia domina ancora il prodotto iberico.

* "Nudossi" in Germania dell'Est: è un prodotto tedesco, ancora venduto nella ex Germania dell'Est, ma quasi sconosciuto nella parte Ovest.

* La Mars produce una crema da spalmare bicolore marrone e bianca, al gusto di nocciola e cioccolato, chiamata Milky Way, come la barretta omonima.

* "Alpella" In Turchia, prodotta dal colosso alimentare turco Ülker

* In Australia la Sweet William, una crema spalmabile priva di latticini e nocciole.

* In Canada si trovano "Choconutta", "Hazella" e una grande varietà di creme spalmabili alla nocciola con il marchio delle catene di distribuzione.

* In Nuova Caledonia è vietata l'importazione del prodotto italiano in modo da proteggere un prodotto locale, il "Biscochoc".

* In Svizzera è venduta una crema contenente dei corpuscoli croccanti, l'Ovomaltine Crunchy Cream".

* In Romania si vende una crema alla nocciola, con lo stesso gusto della Nutella chiamata "Finetti".

* In Serbia e nei paesi dell'ex-Jugoslavia si vende dal 1972 una crema bicolore simile alla Nutella, prodotta a Gornji Milanovac, 120 chilometri a sud di Belgrado.



Ingredienti [modifica]



La ricetta della Nutella varia da paese a paese; di seguito riportiamo la ricetta italiana.

Nutella

Valori nutrizionali per 100 g

Energia 530 kcal 2220 kJ

Proteine 6,8 g

Carboidrati 56 g

- Zuccheri {{{zuccheri}}}

- Lattosio {{{lattosio}}}

- Amidi {{{amido}}}

- Fibre {{{fibre}}}

Grassi 31 g

- saturi {{{grassi_saturi}}}

- monoinsaturi {{{grassi_monoinsaturi}}}

- Acido oleico {{{acido_oleico}}}

- polinsaturi {{{grassi_polinsaturi}}}

- Acido linoleico {{{acido_linoleico}}}

- Acido linolenico {{{acido_linolenico}}}

- Colesterolo {{{colesterolo}}}

Acqua 0 g

Alcoli {{{alcol}}}

Caffeina {{{caffeina}}}

Vitamina A {{{vit.A}}}

Tiamina (Vit. B1) {{{vit.B1}}}

Riboflavina (Vit. B2) 0,25 mg

Niacina (Vit. B3) {{{vit.B3}}}

Acido pantotenico (Vit. B5) {{{vit.B5}}}

Vitamina B6 {{{vit.B6}}}

Acido folico (Vit. B9) {{{vit.B9}}}

Vitamina B12 0,26 μg

Vitamina C {{{vit.C}}}

Vitamina D {{{vit.D}}}

Vitamina E 6,6 mg

Vitamina K {{{vit.K}}}

Calcio {{{calcio}}}

Ferro {{{ferro}}}

Fosforo 172 mg

Magnesio 70 mg

Manganese {{{manganese}}}

Potassio {{{potassio}}}

Rame {{{rame}}}

Selenio {{{selenio}}}

Sodio {{{sodio}}}

Zinco {{{zinco}}}



* Zucchero

* Oli vegetali

* Nocciole (al 13%)

* Cacao magro

* Latte scremato in polvere (5%)

* Siero di latte in polvere

* Lecitina di soia (emulsionante)

* Aromi



Curiosità [modifica]

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* Nel 1969 fu tentata una variazione: la Crema Kinder vitaminizzata.



« A un certo punto si lavorò per far entrare nella linea di prodotti Kinder anche la Nutella [...] Il chimico Francesco Rivella fu incaricato di creare "Nutella Vitamin" in quanto si temeva che i concorrenti cercassero di immettere sul mercato una crema spalmabile prodotta con l'aggiunta di sostanze "adatte alla crescita", per invogliare le mamme all'acquisto [...] Ma questo prodotto non uscì mai dalle aree test. »



([3])



* Sin dagli esordi Ferrero ha adottato dei contenitori in vetro come forma incentivante all'acquisto del prodotto. Una volta svuotato del suo contenuto il contenitore può essere utilizzato come bicchiere di casa. I bicchieri furono presto impreziositi con immagini multicolore e una forma caratteristica. L'uso di immagini serigrafiche stilizzate con temi astratti o legati alla natura è durata sino all'anno 1990, quando furono sostituite da immagini dei personaggi dell'animazione. La scelta di merchandising del prodotto a base di immagini a fumetti è ancora attuale per il formato 200g.

* Nel 1993 Riccardo Cassini ha scritto un libriccino (formato pocket) umoristico sulla Nutella intitolato Nutella Nutellae che, pubblicato dalle edizioni Comix, ha venduto circa un milione di copie[senza fonte] e in esso si ritrovano le storpiature in chiave Nutella di opere letterarie o loro stralci, ad esempio:



« Nutella omnia divisa est in partes tres:

Unum: Nutella in vaschetta plasticae

Duum: Nutella in vitreis bicchieribus custodita

Treum: Nutella in magno barattolo (magno barattolo si, sed melius est si magno Nutella in barattolo) »



(reinterpretazione del celebre passo del De bello Gallico di Gaio Giulio Cesare)



* Dal 2007 il testimonial di Nutella è Claudio Silvestri: il vero cuoco della nazionale italiana di calcio che, nello spot, interpretando se stesso, sceglie ogni mattina pane e Nutella per la colazione degli azzurri.



In seguito alla campagna di Greenpeace Italia “Nutella salva la foresta” , e alla raccolta di 10.000 firme Ferrero ha aderito alla moratoria sull'espansione delle coltivazioni di palma da olio che distruggono le ultime foreste del Sud est asiatico. In una lettera inviata a Greenpeace il 10 luglio del 2008, Ferrero ha dichiarato di “essere pronta a muoversi per raggiungere, in un lasso di tempo ragionevole, i seguenti obiettivi:



* moratoria su ulteriori deforestazioni dovute alla produzione di olio di palma;

* sviluppo di sistemi credibili di tracciabilità e di certificazione di quest'ultimo.



Tuttavia se la deforestazione non verrà fermata, gli sforzi di Ferrero e tutte le altre multinazionali della RSPO per rintracciare olio di palma sono condannati al fallimento.





1. ^ Va notato che la Nutella per la legislazione italiana non può essere assimilata alla crema di cioccolato per via del ridotto contenuto di cacao nel prodotto (gli elementi principali essendo appunto zucchero, oli vegetali e nocciole).



La pizza è un prodotto gastronomico che ha per base un impasto di acqua, farina di frumento, e lievito, che dopo una lievitazione di almeno tre ore viene lavorato fino a ottenere una forma piatta, cotto al forno e variamente condito.




Benché si tratti ormai di un prodotto diffuso in quasi tutto il mondo, la pizza è generalmente considerata un piatto originario della cucina italiana ed in particolar modo napoletana. Nel sentire comune, infatti, ci si riferisce con questo termine alla pizza tonda condita con pomodoro e mozzarella, ossia la variante più conosciuta della cosiddetta pizza napoletana.



La vera e propria origine della pizza è tuttavia argomento controverso: oltre a Napoli, altre città ne rivendicano la paternità. Esiste, del resto, anche un significato più ampio del termine "pizza". Infatti, trattandosi in ultima analisi di una particolare specie di pane o focaccia, la pizza si presenta in innumerevoli derivazioni e varianti, cambiando nome e caratteristiche a seconda delle diverse tradizioni locali. In particolare, in alcune aree dell'Italia centrale, viene chiamata "pizza" qualsiasi tipo di torta cotta al forno, salata o dolce e alta o bassa che sia.
 
Etimologia
L'etimologia del nome "pizza" (che comunque non è necessariamente legata all'origine del prodotto) deriverebbe secondo alcuni, da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere, cioé pestare, schiacciare, pigiare[1] o dalla pita mediterranea e balcanica, di origine greca, secondo quest'ultima ipotesi la parola deriverebbe dall'ebraico פִּתָּה o פיתה, dall'arabo كماج e dal greco πίτα, da cui anche pita che appartiene alla stessa categoria di pane o focacce. Studi più recenti[2] accreditano, oltre all'origine greca, anche altre ipotesi, cioé che la parola deriverebbe dal germanico (longobardo o gotico) dell'alto tedesco d'Italia bĭzzo-pĭzzo (da cui anche in tedesco moderno Bissen: "boccone", "pezzo di pane"). Questa ipotesi sarebbe pure confermata dall'area di diffusione originaria della parola, che coinciderebbe con il regno e i ducati longobardi di Benevento e Spoleto. Tuttavia la diffusa presenza, in area balcanica di pita, induce J. Kramer, [3] riportato dalla stessa fonte, a cercare nel greco πίττα (di provenienza albanese) l'origine dell'italiano "pita", da cui poi "pizza" per incrocio con "pezzo". Appare comunque certo che la fortuna odierna della parola "pizza" venga da Napoli.


Storia [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Storia della pizza.



La pizza ha una storia lunga, complessa e incerta. Le prime attestazioni scritte della parola "pizza" risalgono al latino volgare di Gaeta nel 997[4]. Già comunque nell'antichità focacce schiacciate, lievitate e non, erano diffuse presso gli Egizi, i Greci (maza) e i Romani (offa e placenta).

Tipologie [modifica]

Pizza tonda [modifica]

Pizza tonda servita nel piatto e già tagliata in quattro spicchi



Per la pizza tonda l'impasto, fatto lievitare in monoporzioni e solo su ordinazione, spesso sotto gli occhi del consumatore finale, viene steso in forma di disco, variamente condito e cotto a contatto del piano rovente di un forno. È la più conosciuta e consumata nel mondo e viene detta appunto anche pizza classica o pizza napoletana.



Tipica in diverse cucine regionali italiane, è divenuta famosa come specialità della cucina napoletana. La città di Napoli ha svolto infatti un ruolo importantissimo nella storia della pizza, creando ed esportando questa specialità che è ora la più diffusa nel mondo (vedi sez."Dove si mangia la pizza"). Per questo motivo si usa ancora l'espressione "pizza napoletana" come sinonimo di "pizza tonda" anche se le sue caratteristiche sono spesso diverse rispetto a quelle della tradizione partenopea.



Soprattutto fuori dall'Italia invece della pasta di pane si usano spesso impasti più grassi e talvolta anche dolci; il condimento è sempre abbondante e varia notevolmente a seconda delle abitudini locali.



La stesura dell'impasto in forma di disco può avvenire con l'uso del matterello oppure, preferibilmente, a mano girando e tirando le palline lievitate d'impasto sopra un piano di lavoro o con evoluzioni aeree. Specialisti di quest'ultimo metodo sono i pizzaioli acrobatici.
Pizza al taglio [modifica]


Pizza al taglio a Trastevere



Per la pizza al taglio o pizza in teglia la pasta lievitata viene stesa, condita e cotta in grandi teglie di metallo tonde o rettangolari e poi messa in mostra per essere venduta a peso a scelta del cliente o, in casa, consumata a tranci. La vendita di questa varietà di pizza è diffusa oltre che nelle pizzerie al taglio vere e proprie, anche nelle panetterie. Poiché la pizza in teglia deve essere tenuta in mostra ed eventualmente riscaldata necessita dell'utilizzo di impasti molto acquosi che pure in queste condizioni non si secchino ma diano il massimo del gusto. A tal fine vengono usate farine forti e appositi procedimenti di rigenerazione che permettono di aggiungere agli impasti una maggiore percentuale di acqua, fino al 90%.[senza fonte] Questo ha anche un vantaggio dal punto di vista economico essendo la pizza venduta in alcuni casi a peso (questo metodo è ad esempio il più diffuso nella città di Roma).

Pizza alla pala [modifica]



La pizza alla pala, come la pizza in teglia, è una pizza di grandi dimensioni messa in mostra e venduta a peso ma la sua cottura avviene, analogamente alla pizza tonda, direttamente sul piano del forno.



Una delle sue varianti è la pizza al metro.

Tipologie per origine geografica [modifica]



Pizza genovese



Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pizza genovese.



La pizza genovese è pizza in teglia dalla pasta piuttosto alta e morbida, prodotta con farina di grano tenero, acqua, sale, lievito di birra e, talvolta, un poco di latte. Dopo la lievitazione viene stesa con le mani direttamente nella teglia e cotta in forno, preferibilmente a legna. Deriva dalla focaccia genovese.



"Verace" Pizza napoletana



Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pizza napoletana.

Un forno a legna



La pizza napoletana è una pizza tonda dalla pasta morbida e dai bordi alti (cornicione). Tale rigonfiamento del cornicione è dovuto all'aria, che durante la fase di manipolazione del panetto si sposta dal centro verso l'esterno. Nell'impasto classico napoletano non è ammesso nessun tipo di grasso soltanto acqua, farina, lievito (di birra o naturale) e sale, nella più stretta tradizione prevede solo due varianti per quanto riguarda il condimento:



* Pizza marinara: con pomodoro, aglio, origano e olio di oliva.

* Pizza Margherita classica: con pomodoro, mozzarella di bufala campana DOP o mozzarella STG o fior di latte appennino meridionale a listelli, basilico e olio d'oliva.



Pizza romana



La pizza romana è una pizza tonda dalla pasta molto sottile e croccante. L'impasto viene prodotto con farina di grano tenero tipo 00 o 0, acqua, lievito di birra (oppure lievito naturale), olio d'oliva (oppure per ottenere una pizza più fragrante si utilizza l'olio di semi) e sale in proporzioni tali che risulti duro e consistente, tanto da rendere spesso necessaria la stesura con il mattarello. Diffusasi a partire appunto dalla capitale solo dopo l'ultimo dopoguerra, si chiama Napoli la variante di condimento con pomodoro, mozzarella e alici, la stessa che a Napoli si chiama romana. In realtà i libri di cucina tradizionale romana, sembrerebbero avvalorare che la variante con le acciughe sia un'usanza propria della Capitale; la pizza romana, secondo gli stessi ricettari, dovrebbe comprendere anche basilico tagliuzzato,pecorino e pepe. Altra caratteristica, della Pizza romana è l'uso di ingredienti freschi, messi a crudo sulla pasta prima dell'infornata: zucchine, cipolle, patate, funghi (dove invece troviamo l'utilizzo delle conserve in altre parti d'Italia).



Altre



Il pizzòlu di Solarino e Sortino

Pizza Chicago-style



A Napoli la cosiddetta pizza chiusa, ossia pizza ben condita e coperta dalla stessa pasta, si chiamava anche calzone, ma in seguito altre varietà di calzone con un tipo di pasta differente son state ideate e preparate nella vicina Puglia, ragion per cui il calzone al forno è divenuto di fatto un altro prodotto culinario.



In Sardegna la variante locale viene denominata panada, pizza morbida ed a pasta spessa farcita dei più svariati ingredienti quali pomodori, melanzane, zucchine, funghi, carne d'agnello, pesci (particolarmente ghiotta la variante alle anguille). La ricetta originale prevede che, una volta completata la cottura in forno a legna, la panada venga unta con un filo di olio extravergine bollente e poi lasciata riposare.



Una piccola pizza chiusa è il panzerotto, il quale può essere cotto al forno o fritto in padella.



In Sicilia vi sono diverse varianti collegate alla tradizione culinaria rurale che con la pizza vera e propria hanno poco a che vedere. E così, nel palermitano è diffuso lo sfinciuni, focaccia morbida con cipolla, caciocavallo, pomodoro e pangrattato; in Provincia di Siracusa, specie nei comuni di Solarino e Sortino, si può gustare il pizzòlu, una sorta di pizza tonda farcita; in provincia di Messina è cucinato il tradizionale piduni, piccolo calzone fritto o al forno ripieno di verdure ed è inoltre presente la focaccia alla messinese, che viene tradizionalmente preparata in teglia con verdure, formaggio, pomodoro e acciughe; e in provincia di Catania, specie a Zafferana Etnea, la tipica pizza siciliana, un calzone fritto a pasta morbida con ripieno di formaggio, acciughe, funghi porcini e altri ingredienti.



Anche oltreoceano la pizza ha avuto una sua evoluzione fino alla pizza all'americana contraddistinta dalla morbidezza e dal notevole condimento. Non raramente all'impasto vengono aggiunti burro o margarina (o altri tipi di grassi) e zucchero.



Negli ultimi anni del XX secolo si è andata affermando anche la pizza senza glutine, preparata con farine non a base di frumento, adatte a chi soffre di celiachia.

Valori nutrizionali [modifica]



La più celebre delle pizze, la pizza Margherita, contiene varie sostanze nutrienti: i carboidrati sotto forma di amido (nella farina), i lipidi vegetali dell'olio extravergine d'oliva e quelli animali della mozzarella di bufala o fior di latte, proteine animali (ancora dalla mozzarella).



Queste indubbie qualità non devono però far dimenticare che la pizza non è un alimento ipocalorico adatto a qualunque regime dietetico: una margherita del peso di 300 gr. dà un apporto di oltre 800 calorie peraltro molto sbilanciate a favore dei carboidrati (circa 75%).

Impasto [modifica]



Molto importante nella pizza, oltre che la qualità degli ingredienti, è la giusta maturazione e lievitazione. La maturazione è il processo necessario affinché l'amido contenuto nella farina (polisaccaride) venga da alcuni enzimi (alfa e beta amilasi) scisso in zuccheri semplici, questo fa si che la pizza, ben maturata, risulti digeribile. Mentre il lievito di birra compie il suo lavoro producendo nell'impasto anidride carbonica e gas nobili, da qui, la lievitazione, cioè il raddoppio del volume che avviene nell'impasto.

Dove si mangia la pizza [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pizzeria.

Pizza brasiliana

Pizza nordamericana



I luoghi dove si cucina e si consuma la pizza si chiamano pizzerie. Le pizzerie sono in genere autonome le une dalle altre e costituiscono nelle terre più lontane una sorta di ambasciata della cucina italiana nel mondo.



A causa della forte immigrazione ed influenza italiana, la città con il più alto consumo di pizza nel mondo è la città di New York seguita da San Paolo in Brasile con 30 milioni di pizze al mese[5]. In quest'ultima città le pizze hanno spesso guarnizioni derivanti dalla gastronomia locale, come il palmito e il catupiry, un formaggio cremoso.



Negli Stati Uniti e in varie parti del mondo esistono numerose catene di pizzerie; una delle maggiori catene in franchising è pizza Hut, la quale ha aperto propri ristoranti in 86 paesi del mondo. Dal 1999 è attiva in Italia la catena Spizzico, collegata al marchio Autogrill, che propone un concetto a metà strada tra la pizzeria e il fast-food tipico del Nordamerica; inoltre Autogrill, attraverso una società americana acquisita nel 1999, controlla indirettamente Pizza Hut, non presente in Italia. In Spagna e Portogallo è popolare Telepizza, che effettua anche consegne a domicilio.

Record [modifica]



* La più grande pizza mai prodotta è quella dell'ipermercato Norwood Pick 'n Pay (Johannesburg, Sudafrica). Secondo il Guinness Book of Records la pizza - preparata nel 1990 con 500 kg di farina, 800 kg di formaggio e 900 kg di salsa di pomodoro - aveva un diametro di oltre 37 metri [6]



* A Feltham, Londra, il nuovo record per la più distante consegna di pizza spetta a Lucy Clough. Una pizza vegetariana è stata cotta il 17 novembre 2004 ed ha percorso una distanza di 16949 km per essere consegnata in Ramsey Street, a Melbourne, il 19 novembre 2004. Il record è presente nell'edizione 2006 del Guinness Book of Records [7]

La Coca-Cola (anche nota come Coke soprattutto negli Stati Uniti o semplicemente come Coca in Italia) è una bibita industriale analcolica, alla quale il caramello che vi è contenuto conferisce un colore scuro.




La bibita deve il suo nome al fatto che nella sua ricetta sono impiegati, tra le altre sostanze, estratti provenienti dalle noci di cola ed estratti dalle foglie della pianta di coca, questi ultimi ovviamente privati delle sostanze (alcaloidi) psicotrope.



Con lo stesso nome viene spesso indicata anche la casa produttrice della bevanda, la The Coca-Cola Company.



Secondo le autorità di Coca-Cola, la Coca-Cola migliore è fatta a Skopje, in Macedonia, dove la società ha concesso la Birreria Skopje il suo "Best Bottling Company" award. [1]

La "Coca-Cola" fu inventata dal farmacista statunitense John Stith Pemberton l'8 maggio 1886 ad Atlanta, inizialmente come rimedio per il mal di testa. Il primo nome che venne dato alla bevanda fu "Pemberton's French Wine Coca". Quella di Pemberton era una variazione del cosiddetto "vino di coca" (o Vin Mariani), una miscela di vino e foglie di coca che aveva avuto largo successo in Europa quando era stata creata dal farmacista còrso Angelo Mariani. All'alcol venne sostituito un estratto delle noci di cola, una pianta tropicale reputata non dannosa per la salute. Dall'uso combinato dei due ingredienti principali, la coca e la cola, la bibita acquisì il nome attuale. Quando anche la coca venne bandita (dalla pianta si estrae infatti la cocaina), venne scartato l'alcaloide dagli estratti dalle foglie di coca, mentre la cola (in noci) continuò a essere utilizzata come fonte di caffeina.




Nonostante la scoperta, Pemberton accumulò forti debiti e per appena 550 dollari vendette formula e diritti della Coca-Cola ad Asa Candler, uomo d'affari che aveva intuito il potenziale della bevanda e compreso l'importanza della pubblicità per diffonderla e per sbaragliare la concorrenza.



Dopo la quotazione in borsa dell'azienda nel 1919, la Coca-Cola iniziò la sua diffusione mondiale negli anni venti, trasformandosi in un 'business' di grandi dimensioni, gestito dalla The Coca-Cola Company con sede a New York, e che comprende ulteriori bibite (meglio note col nome di bevande gassate) quali la Fanta, la Sprite e altre.



Nel 1927 la Coca-Cola viene importata anche in Italia. Nel 1960 comparve la prima Coca-Cola in lattina, mentre nel 1980 anche quella in bottiglia PET.



La bibita è disponibile nella maggioranza dei luoghi di ristorazione del mondo, ed è la bevanda per eccellenza nei fast-food.



Il marchio è stato più volte indicato da numerose ricerche come il più conosciuto al mondo.[2] La maggior rivale della Coca-Cola è la Pepsi, ma ne esistono moltissime imitazioni.



La Coca-Cola vanta diversi luoghi legati interamente al marchio, tra i quali un museo ad Atlanta, sede della compagnia, e alcuni negozi di merchandising, i World of Coca-Cola di New York e Las Vegas.

l celebre logo della Coca-Cola, il più noto al mondo, fu creato con scarsa attenzione nel 1886 dal contabile dell'azienda, Frank Mason Robinson, che fece solo alcuni piccoli ritocchi alla scritta, utilizzando come base il carattere Spencerian Script, che in quel tempo, negli Stati Uniti era fra i più comuni e utilizzati. Si lega a questo logo una leggenda metropolitana che si è diffusa piuttosto rapidamente nel mondo: sembra che osservando la scritta Coca-Cola allo specchio sia possibile interpretare l'immagine come una frase in lingua araba che recherebbe un messaggio contro la cultura islamica, "No a Maometto, No alla Mecca".[senza fonte] In realtà è improbabile che al momento della creazione di questo logo, quando ancora non esisteva la multinazionale The Coca-Cola Company e nessuno si sarebbe aspettato il successo a livello mondiale che la bevanda avrebbe riscosso, si pensasse di inserire un simile messaggio all'interno del celebre logo. Anche il Grand Mufti Sheik Nasser Farid Wassel, importante figura religiosa egiziana, ha commentato questi fatti facendo notare come questo marchio fu scritto in caratteri latini e non arabici più di un secolo fa; è dunque una voce che ha soltanto danneggiato la multinazionale, con un forte calo delle vendite registrato in alcuni paesi islamici.




Per il 100° anniversario della Coca-Cola, nel 1986 è stato creato in Cile, sul fianco di una montagna, il più grande logo Coca-Cola del mondo. Sono state utilizzate circa 70 000 bottiglie di Coca-Cola e la scritta risulta di circa 30 per 120 metri.

Design del contenitore [modifica]

Prototipo



La Coca-Cola è famosa per i particolari contenitori che la rendono facilmente distinguibile rispetto alle altre confezioni di bevande analcoliche; in particolare, le frequenti variazioni promozionali nella decorazione delle lattine in presenza di eventi, quali il Natale o eventi sponsorizzati dalla bevanda, hanno reso queste ultime oggetto di collezionismo. Le bottiglie contour, comparse nel 1916, hanno una forma particolare con marchio registrato, probabilmente ispirata alle curve anatomiche dell'attrice Mae West che indossava il particolare abito aderente detto hobble skirt[3].



Il design del prototipo è stato ideato nel 1915 da Earl R. Dean, della Root Glass Company di Terre Haute, Indiana, che potrebbero essersi ispirati alla forma di un baccello di cacao.[4] Il prototipo venne scartato perché inadatto alle macchine imbottigliatrici; tuttavia ispirò le forme della bottiglia definitiva che entrò in produzione nel 1916. Bottiglie similari, prima in vetro e poi in PET, sono state utilizzate anche dalla concorrente Pepsi, ma dalla forma significativamente diversa per non violare il copyright della The Coca-Cola Corporation.



La forma della famosa bottiglia di Coca Cola viene frequentemente utilizzata per descrivere la parte posteriore della carrozzeria di una vettura di Formula 1 che, vista dall'alto, assomiglia appunto alla famosa bottiglia.

Slogan pubblicitari [modifica]



Agenzia pubblicitaria storica della Coca Cola è stata la D'Arcy, che ne curò la pubblicità dal 1906 al 1954 e che ebbe l'idea di impiegare Babbo Natale come testimonial natalizio a partire dal 1931.

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